America Ottobre 2018

Uno splendido viaggio. Lungo, vario, autogestito: come piace a noi. Ma anche una esperienza nuova: un viaggio insieme, in macchina, con due coppie di amici la cui non intensa precedente frequentazione ci aveva fatto molto temere, e ben soppesare l'ipotesi di affrontarlo. Anche perchè a 60 anni suonati tre settimane di convivenza molto stretta (a parte le lunghe ore di automobile a volte anche come sistemazione in ambienti piccoli e con condivisione di risorse strategiche (leggi bagno)) non sono uno scherzo. Ma alla fine abbiamo preso la decisione giusta, e siamo partiti. Un grosso grazie a Floriano e Alida per aver organizzato la gran parte del viaggio ed averci invitato, altrettanto grosso a Luigi e Miriana per averci accettato e sopportato, a tutti e quattro per averci allietato le giornate con la loro amabile compagnia. Alla fine, a parte qualche piccola insofferenza dovuta al carattere e all'età, e qualche normale trascurabile contrattempo è stata una vacanza memorabile.

Un coast-to-coast on the road come nelle migliori tradizioni letterarie e cinematografiche americane: da Boston a San Francisco passando per il cuore verde e ocra dell'America dei parchi, da Yellowstone a Arches a Yosemite. Oltre 8000 chilometri macinati in 20 giorni, salendo fino ai 3031 metri del Tioga Pass e scendendo 86 metri sotto il livello del mare nella Valle della Morte. Temperature che hanno oscillato tra i 28 gradi Fahrenheit di una sera gelida a Sparta (!) e gli 88 gradi del deserto californiano (lascio al lettore volenteroso o curioso le conversioni). La musica e la chiCarovanaacchiera durante il viaggio non sono mai mancate, e a volte sia l'una che le altre tacevano per lasciarci ammirare i paesaggi che ci scorrevano a fianco, resi famosi e quasi familiari da decine di film. Abbiamo toccato mete molto spesso note anche se mai visitate prima, per la conoscenza che ci deriva dalla TV, dai libri, dal cinema: mete classiche del turismo internazionale, come le cascate del Niagara, Las Vegas o il parco di Yellowstone. Ma le sorprese più belle sono forse venute proprio da quei luoghi che non avevamo mai sentito nominare e che si sono rivelati veri gioielli, come le Badlands sulla via per Rapid City o le Black Hills che stanno fianco a fianco con il più noto Mount Rushmore.

Questo non è, come nel caso di altri viaggi raccontati nel sito, un resoconto puntuale o un diario di viaggio, ma solo il sunto di alcune emozioni vissute, un fil rouge per legare le immagini, un pretesto per pubblicare le foto e così tenerle a portata di mano quando ci viene voglia di guardarle. Le pagine delle foto sono raggiungibili cliccando sui link relativi. In breve quindi:

Boston: Il viaggio dall'Italia è durato almeno 5 ore più del previsto a causa del ritardo di uno dei voli. Dopo aver litigato fino a mezzanotte con l'impiegato dell'autonoleggio all'aeroporto arriviamo a destinazione al nostro alloggio verso l'una e mezzo di notte. Lì abbiamo la sorpresa di dover issare le pesantissime valige fino al quarto piano, senza ascBostonensore, della catapecchia che abbiamo affittato a caro prezzo per trascorrere due notti. Tre stanzette striminzite, un solo bagno. Una vera prova del fuoco: stoicamente resistiamo sia a questo che alla piogga del giorno dopo che tenta (invano) di rovinarci la breve visita alla città. Da lì in poi è stato tutto in discesa, ma la prima sera abbiamo fortemente temuto la tragedia risata.

Boston: una delle città più vecchie d'America, e quindi con un pochino di storia da raccontare. E' facile e bello visitarla seguendo una traccia al suolo (si chiama "Freedom Trail") che fisicamente ti accompagna in giro in centro a toccare tutti i luoghi più significativi della città. La percorriamo quasi integralmente, sotto una pioggerellina che a tratti diventa più forte e fastidiosa. Una visita molto veloce, ma l'urgenza del viaggio preme. Ah, già, dimenticavo: abbiamo anche imparato qual è il prezzo dei parcheggi nelle città americane, cosa che avremmo preferito evitare triste.

Cascate del Niagara: Quando ci è stata proposta come una delle mete del viaggio personalmente ho storto un po' il naso. Mi sembrava (questa come anche Mt. Rushmore) una meta un po' troppo scontata e banale, credevo di conoscerle già, per quanto le avevo riviste in tutte le salse da tutte le parti. Ma almeno in questo caso ho dovuto veramente ricredermi. Arriviamo la sera, e la sera le cascate sono inondate da una luminaria di luci dai colori cangianti: uno spettacolo che potrà sicuramente affascinare le orde di cinesi e americani che le vengono a vedere, ma ci lascia piuttosto perplessi. Nonostante questo, camminare vicino alla sponda del fiume che rovescia una quantità impensabile di acqua a capofitto da uno strapiombo verticale di 50 metri è una emozione difficilmente descrivibile. Aneddoto: A cena alcuni di noi hanno una sensazione strana, come di essere vicino al motore di un condizionatore o di un generatore di energia. Per qualcuno di noi la sensazione è più forte, altri la percepiscono appNiagaraena, a tratti. Alla richiesta del fatto se ci fosse un motore di qualche tipo sotto il pavimento la cameriera mi guarda stranita dicendo che non c'è nulla di simile. In albergo mi fermo sulla soglia, e facendo attenzione sento sotto i piedi la stessa sensazione che avevo sentito seduto sulla panca del ristorante. Allora capisco che quello che sentivamo era il continuo piccolo terrremoto generato da questa enorme massa d'acqua che precipita e picchia sul suolo dissipando una energia mostruosa. La conferma ce l'ho il giorno dopo: dopo una notte di assuefazione al luogo l'organismo non percepisce più nulla di strano. E' per questo che la cameriera si era chiesta se fossimo un po' tocchi...

Le cascate il giorno dopo le ammiriamo alla luce naturale del sole, e lo spettacolo è davvero imponente e magnifico. Assolutamente da fare la gita in battello che porta i turisti avvolti negli impermeabili rossi proprio nel centro della cascata più bella, quella in territorio canadese. Una manifestazione della potenza della natura paragonabile all'eruzione di un vulcano, con la differenza che qui lo spettacolo è continuo e perenne. Altra cosa da fare assolutamente è salire sulla torre panoramica: vedere le cascate dall'alto dà un'idea più precisa della geografia del luogo e le cascate sono una vista meravigliosa da lassù.

Chicago e LaCrosse: Chicago è l'unica meta che con Maddalena avevamo già visitato sette anni fa con un pò più di tempo a disposizione. Questa volta facciamo solo un mordi-e-fuggi: arrivati al mattino ripartiamo la sera, senza fermarci a dormire in città. Le cose essenziali comunque le facciamo. Nell'ordine: la visita alla Willis tower dove, dal 103esimo piano si può ammirare lo spettacolo della città e del lago Michigan dall'alto. Il beChicagolvedere a 360 gradi offre anche l'emozione di camminare "nel vuoto" su un pavimento di vetro sospeso sulle vie sottostanti che da quella altezza sembrano percorse da file mobili e cangianti di frenetiche formicuzze. Una passeggiata al Millennium Park con il suo famoso "fagiolone": una scultura moderna che crea riflessi e prospettive insolite, veramente affascinante. E per finire una passeggiata sulle banchine del Lago Michigan a osservare e cibare con resti di panino le paperelle (in realtà oche canadesi) che lo abitano, come si conviene ad anziani par nostro.

Ripartiti da Chicago la sera siamo colti per la strada da una nevicata improvvisa che ci costringe a fermarci a pernottare in una località chiamata Sparta, a pochi chilometri da LaCrosse, che era la nostra meta prevista. LaCrosse è una cittadina sul Mississippi, e la gita sul fiume e' quasi obbligatoria. Il giro su una barca di quelle spinte da una ruota a pale (una delle poche rimaste) è molto piacevole e ci regala tra l'altro la vista, se pur da una certa distanza, di una coppia di aquile dalla testa bianca, quelle dello stemma americano, per intenderci.

Sioux Falls e Badlands: Seconda tappa di trasferimento tra Chicago e Mt. Rushmore. Sosta a Sioux Falls, una piccolissima cittadina che prende il nome dalle cascate intorno cui è sorta. Partendo, la mattina, andiamo a vedere queste cascate, senza grosse aspettative. Dobbiamo però ricrederci: le cascate sono belle, non imponenti per l'altezza del salto, ma notevoli per vastità e anche perche' il fiume ha scavato queste improvvise balze in un basalto squadrato a prismi verticali, dal colore rossastro, molto particolare.

Ma la sorpresa piu' bella l'abbiamo facendo una deviazione inizialmebadlandsnte non prevista, propiziata dal fatto che siamo in anticipo sulla tabella di marcia e dal consiglio della preziosa "Guide Bleu" di Alida: le "Badlands" sulla via per Rapid City. Un parco nazionale dalle strane formazioni a calanchi, dove la pioggia e il vento modellano il terreno molto friabile scavando venature e disegnando forme affascinanti. Il parco è attraversato da una strada panoramica che si può fare in auto ed ha anche diversi sentieri per un po' di trekking, che noi non ci possiamo permettere. A parte la bellezza mozzafiato dei panorami naturali, a volte tra l'altro sottolineati dai colori innaturali del terreno nudo (gialli sulfurei, verdi olivastri e persino rosa antico) il parco ci mostra animali che non abbiamo mai visto e che non vedremo altrove: i cani della prateria che scavano il suolo come una enorme forma di gruviera, un branco di "bighorn", tipici mufloni dalle enormi corna e dal culone bianco e per finire, sull'asfato della strada, un serpente a sonagli che si lascia immortalare nella tipica postura di attacco, con la coda ritta che suona i sonaglietti come nacchere da flamenco.

Mt. Rushmore, Black Hills e Devil's Tower. Arrivati al tramonto a Mt. Rushmore decidiamo di far visita ad un altro monumento meno noto che si trova lì vicino, e di cui non conoscevo l'esistenza. Dopo aver esaltato l'America e la sua storia con questa cosa un po' kitsch (per lo meno a mio avviso) delle faccione dei presidenti scolpiti sulla montagna in dimensioni sesquipedali, la cattiva coscienza unita alla political correctness degli americani ha fatto nascere l'idea di erigere (o meglio, scolpire sulla roccia) un monumento ad un eroe degli sconfitti, gli indiani d'america, nella figura di Cavallo Pazzo. Il progetto però, pur essendo ben definito, con tanto di disegni accurati del risultato finale, ha bisogno di finanziamenti per essere costruito (anzi, scolpito) e qui gli americani non derogano certo dal loro credo economico liberale. Perciò l'opera si basa su contributi volontari e sui biglietti pagati da chi (come noi) va a vedere l'opera anche se l'opera non c'è think. O meglio, a dire il vero è solo iniziata: il faccione di Cavallo Pazzo è già ben visibile sulla vetta, tra le gru che consentono la prosecuzione del lavoro, ma tutto il resto, cavallo compreso, è di là da venire e chissà se verrà mai terminato.

La mattina, dopo la visita ai ritratti rocciosi dei presidenti decidiamo saggiamente di fare una strada un po' più lunga che ci porta attraverso le Black Hills ed il Custer Park. Anche qui paesaggi indimenticabili, col granito modellato dagli agenti atmosferici in arditissime guglie, alcune delle quali forate; torri che a volte ricordano la Cappadocia ma in un ambiente montano costellato di abeti che aumentano questo senso di verticalità, con le loro punte che fanno a gara con le guglie a chi è più aguzzo. Sempre per la via verso Yellowstone ancora una deviazione a vedere la Devil's Tower. Anche questa merita proprio: dalla pianura ondulata da lievissimi innalzamenti collinosi sorge improvviso questo che, da lontano, sembra il ceppo segato di netto di un albero gigantesco. Un tronco di cono dalle forme quasi perfette, alto 400 metri, di roccia assolutamente estranea al terreno circostante. Per di più le pareti quasi verticali sono scanalate da fitte striature, come se fossero state graffiate dal demonio nel tentativo di scalare la vetta. Il nome di torre del diavolo è certamente azzeccato, a descrivere lo stupore dei nativi (ma anche nostro) di fronte ad un'opera che sembra in effetti soprannaturale.

Yellowstone e Grand Teton: Arriviamo a Cody, città di Buffalo Bill al limitare del parco, a sera. Il freddo e la recente nevicata ci fanno temere che la prevista passeggiata nel parco, piuttosto lunga e faticosa, che prevedeva la discesa in fondo al canyon formato dallo Yellowstone River probabilmente salterà, come poi è avvenuto. Il giorno dopo partiamo alla ricerca dell'orso Yoghi verso l'ingresso Est del parco. Qui i ranger ci comunicano che, per la recente nevicata, la strada che avremmo dovuto fare è già chiusa, in aniticipo sulla prevista serrata invernale. Dopo esserci informati bene sulla percorribilità stradale all'interno del parco decidiamo di andare almeno a vedere il Lago Yellowstone, poi torniamo indietro e con una lunga deviazione raggiungiamo l'ingresso Nord, da cui entriamo definitivamente, per dirigerci verso il nostro albergo a West Yellowstone. Dentro il parco incontriamo i bisonti, anche in mandrie molto grandi che brucano nella prateria sconfinata. Avvistiamo anche un lupo che, se pur da lontano, si concede per qualche scatto fotografico. Sulla strada visitiamo la Mammoth spring, la sorgente sulfurea più imponente del parco. Qui l'acqua che fuoriesce dal terreno da mille piccole aperture è bollente e contiene disciolti sali di tutti i tipi. Questi si solidificano e cristallizzano in fantastiche formazioni a terrazze, vasche, piscine naturali multicolori. Proseguendo verso l'albergo, verso sera, la terra e il fiume sembrano respirare. ll loro alito si materializza nell'aria fredda in soffici nuvole di vapore che sfumano nella luce del crepuscolo. E' una delle immagini più belle che mi porterò a casa da questo viagYellowstonegio.

Il giorno dopo altro giro nel parco a visitare i campi costellati di geyser, fumarole, fanghi bollenti del Norris Basin. Qui il respiro della terra, che ieri sera era pacato e dolce nell'addormentarsi, mostra il suo lato più bizzarro e a volte violento. La terra tossisce, sputa, schizza, sibila, sobbolle. Le pozze di acqua di un turchese cristallino sono percorse da fremiti, borbottano e gemono. Fori nel terreno si palesano soffiando e fischiando vapori bollenti, il fango sembra polenta grigia in un paiolo sul fuoco. Questo scenario stile "Una notte sul monte Calvo" è degna preparazione per la visita al "vecchio fedele", il geyser più famoso del parco, che quando arriviamo ha da poco concesso il suo spettacolo. La regolarità impressionante del fenomeno (che gli ha meritato l'appellativo di fedele nel senso di puntuale) ci consente di sapere esattamente quando avverrà la prossima eruzione: c'è il tempo di fare un giro a vedere le altre fumarole e geyser lì intorno. Man mano che il momento si avvicina i visitatori convergono verso l'arena dello show. La tensione tra gli spettatori, che si radunano sedendo sulle panche intorno al palcoscenico, cresce visibilmente. Le macchine fotografiche sono tutte piazzate, qualche telecamera si accende anzitempo, poi dopo un paio di starnuti premonitori lui soffia il suo schizzo spray di venti metri e più. Lo spettacolo dura poco più di un minuto, poi la fontana di acqua e vapore si esaurisce, e la piccola folla si disperde, per riformarsi dopo circa un'ora e mezza, per la prossima esplosione. Lasciando il parco facciamo un piccolo bilancio degli animali visti rispetto a quelli che ci aspettavamo di vedere. Bisonti, scoiattolini Cip-e-Ciop (chipmunk), cervi, lupi e antilope americana (Pronghorn) li abbiamo spuntati. Siamo indecisi se contare anche un orso grizzly che abbiamo visto nettamente ma molto di lontano (forse meglio così). Purtroppo niente alci, per quanto Floriano (detto occhio di lince) abbia aguzzato la vista, non si sono fatte vedere: anche in questo caso ci rimane qualcosa per la prossima volta.

In uscita dal parco verso Salt Lake City attraversiamo un'altra zona spettacolare, il Grand Teton Park, dove ci fermiamo solo per qualche foto al volo a queste magnifiche montagne, un po' più simili alle nostre Alpi di quelle viste finora, ma immerse in questi scenari grandiosi di laghi e praterie. Una vera gioia per gli occhi anche questa.

Arches e Canyonland : Prima di partire per gli States un po' ci eravamo informati, e al nome "Salt Lake City" tutti ci avevano detto che non valeva la considerazione. Seguiamo il consiglio, ma almeno il Grande Lago lo vogliamo vedere, anche perchè ai due autisti del viaggio non dispiacerebbe fare qualche chilometro a tutta birra sulla pista dei record di velocità terrestri. Raggiungiamo il lago, una distesa impressionante, bianca e piatta, a perdita d'occhio, ma non riusciamo ad entrarci in macchina. Peccato, non si può sempre avere tutto dalla vita.

Anche a Moab, nostro punto di partenza per la visita dei parchi dello Utah, arriviamo al calar del sole, e ci concediamo una prima visita veloce ad uno dei parchi più belli visitati: quello di Arches. Il tramonto ci accoglie sotto uno di questi archi rocciosi, consentendoci qualche scatto con la luna piena sullo sfondo. Fantastico! (fossero solo un po' meglio i modelli... wink). La mattina seguente ci svegliamo con una pioggerellina e un cielo plumbeo che ci consiglia di prendere gli ombrellini da passeggio. E' prevista una sgambata di un paio d'ore a vedYellowstoneere uno degli archi più tipici e spettacolari il cui nome (Delicate Arch) gli rende pieno merito. Dopo pochi passi il destino ci fa un altro regalo: spunta in cielo uno splendido arcobaleno e il tempo si rimette. Unico svantaggio: gli ombrellini nello zaino. L'arco è veramente magnifico, e la passeggiata per arrivarci anche. La roccia del parco è un'arenaria rossa piuttosto consistente, che viene modellata dal vento e dalle intemperie ma è salda e non si sbriciola come quella del Bryce (che vedremo piu' in là) o delle Badlands, dove non è vera roccia ma terra-sabbia compatta. Questo consente la formazione di queste imponenti strutture naturali.

Nel pomeriggio lasciamo il parco e ci dirigiamo a Canyonland (e che è? mai sentito nominare!). Se in Arches la natura ha lavorato verso l'alto, e il vento e la pioggia hanno limato le montagne, a Canyonland è stata l'acqua a scavare la terra verso il basso, con disegni e forme altrettanto bizzarre intarsiate sull'immenso altopiano. Queste gole si trovano alla confluenza di due fiumi, il Green River e il Colorado, che poco più a valle forma il più noto Grand Canyon. Lo scavo è su due livelli: noi stiamo su quello più alto, poi c'è un plateau intermedio attraversato da una splendida lunghissima pista jeepabile che non percorriamo (lasciando anche questa per la prossima volta). E' la strada resa famosa dal film "Thelma e Louise": proprio da questi strapiombi si lanciano le due protagoniste per sfuggire a una vita che si erano stufate di combattere. In fondo, nelle gole più profonde, scorrono i due fiumi. Il tramonto lo osserviamo da un altro piccolo parco, il "Dead Horse State Park" che ha uno splendido belvedere su un canyon al fondo del quale scorre pigro il Colorado, che per allungare un po' la strada verso l'Oceano forma qui come altrove un'ampia ansa verdastra.

Capitol Reef e Escalante : Anche Capitol Reef ci era sconosciuto come nome, e anche questo è una bella sorpresa. In qualche modo simile, per conformazione del terreno, tipo di roccia e formazioni da visitare ai due precedenti Arches e Canyonland, questo unisce in piccolo i pregi dei due. Facciamo infatti una breve passeggiata fino al magnifico arco naturale di Hickman Bridge (in foto) e poi percorriamo lo strettissimo e tortuoso caYellowstonenyon di Grand Wash. Qui uno sgrullone di pioggia ci impedisce di completare la camminata e trasforma il suolo in una mota rossastra che ci fa impiastricciare le scarpe e si rivela difficilissima da eliminare. Il pianale della nostra macchina da quel giorno sembra un campo da tennis smile

Dirigendoci verso la prossima meta, il Bryce Canyon, decidiamo di passare per Escalante, un percorso consigliato anche dalla bibbia (pardòn, la Guide Bleu) di Alida. La strada si inerpica fino a circa 3000 metri in un ambiente che inizialmente è ancora roccioso e ci regala splendide viste dall'alto sui profondi canyon che la costeggiano, poi pian piano si trasforma, con la comparsa prima di latifoglie e poi di pini ed abeti, in un ambiente tipicamente alpino. Nei punti più alti la neve caduta un paio di giorni addietro si è fermata, con un bell'effetto scenografico. La strada ad ampie risvolte attraversa la foresta di Dixie e scende dolcemente verso il villaggio di Escalante. Il tragitto ci regala scorci molto belli sull'altopiano e l'incontro con un piccolo branco di cervi wapiti che pascolano in una radura sotto gli abeti.

Bryce Canyon : Come previsto arriviamo anche oggi al tramonto, che qui promette mirabilia. Pochi chilometri oltre l'ingresso del parco un bivio dice "Sunset Point" sulla destra e "Sunrise Point" sulla sinistra. Ci dirigiamo verso destra senza molti dubbi cool. Lo spettacolo del Bryce è invisibile fino all'ultimo momento: si sale verso l'orlo di una conca vastissima e, giunti proprio sul bordo, gli occhi non ci vogliono credere. Uno spettacolo non solo mai visto, ma neanche immaginato. Un ricamo di rocce, torri, guglie, pinnacoli di tutti i colori più caldi dello spettro, dal giallo chiaro al ruggine passando per arancioni, rosa e rossi incredibili, accesi dalla luce del tramonto. L'opera di un dio creatore impazzito e burlone, o di una natura ubriaca. Il capolavoro di un artigiano maniaco che si è divertito a intarsiare la roccia e lasciarla appesa in posizioni di equilibrio incerto. Una enorme forma di parBrycemigiano rosso (e)rosa e tarlata da mille vermetti frenetici. Il lavoro di mille bimbi che, incuranti delle leggi della fisica, costruiscono mille castelli di sabbie colorate sapendo che da un momento all'altro cascheranno sbriciolandosi al suolo. Se le foto non rendono quasi mai l'idea di quel che uno vede, questo è vero in questo caso più che in altri ma, pur sapendolo, l'occhio dietro il mirino non smette di cercare l'inquadratura migliore e il ditino preme freneticamente sul tasto di scatto. La sera è ormai molto fredda e la luce del crepuscolo sta pian piano sbiadendo i colori del paesaggio, ma intirizziti e ammaliati continuiamo a camminare lungo il bordo di questa enorme strana bacinella, guardando giù dagli strapiombi il percorso del sentiero che percorreremo domani.

E il giorno dopo lo percorriamo, il sentiero, scendendo prima sul fondo del catino ad ammirare a naso all'insù quelle torri spettacolari, sorpresi ad ogni svolta da scenari nuovi che sembrano sempre più belli man mano che si prosegue. La roccia qui è molto più friabile che negli altri parchi visitati nello Utah, e l'impressione netta è che questo parco cambi leggermente ma continuamente i connotati, lasciando franare ogni anno qualche sasso, perdendo qualche briciola. Risalendo verso il bordo dell'anfiteatro una sensazione di deja-vù mi riporta sul sentiero che, al Monte Toraggio, sale verso la gola dell'Incisa. La struttura a serpentina stretta, la ripidità ed i muretti a secco che lo sostengono sono simili, ma gli scenari ed i colori non sono paragonabili. Una delle passeggiate più belle del viaggio, sicuramente.

Zion, Las Vegas e Death Valley : Partiamo di corsa dal Bryce, senza voltarci indietro per non far la fine della moglie di Lot, diretti verso lo Zion National Park. Un altro parco che dicono spettacolare e che sfioriamo solamente, un po' per la fretta (a sera dobbiamo arrivare a Las Vegas) ma anche per sfortuna: Abbiamo già deciso di visitare questo parco solo dalla macchina, senza fare sentieri a piedi ma utilizzando un percorso panoramico percorribile su quattro ruote. Inaspettatamente però la strada è bloccata, e quindi non possiamo avere che una lieve idea di come appaiano i luoghi più celebrati del parco. Poco male, vuol dire anche qui che la prossima volta approfondiremo la sua conoscenza...

Dopo un paio d'ore arriviamo a Las Vegas. Anche qui non ci siamo mai stati, è previsto nell'itinerario, e abbiamo intenzione di mettere la spunta. L'idea di veBrycedere questo posto non mi attrae moltissimo, ed in parte, a posteriori, questo sarà un presentimento corretto. Per la carità, dal punto di vista scenografico è un posto assolutamente eclatante ed eccessivo. Passeggiare col buio per la "Strip" è vivere in un iperbolico luna park del lusso e del kitsch che si esplicitano nei colori e nei suoni, ma anche nelle persone e nel loro modo di mostrarsi. Lo show di fontane sincronizzate e illuminate a suon di musica sul vero e proprio lago artificiale prospiciente l'Hotel Bellagio è spettacolare, e mi porta col pensiero agli spettacoli barocchi di fuochi d'artificio e di giochi d'acqua che Haendel ha celebrato con la sua musica immortale scritta per la real casa di Gran Bretagna. Ma attraversare quei saloni di Casino con l'umanità così strana e straniata che li abita, essere sopraffatti dalla stucchevolezza del kitsch esagerato che ti inonda ad ogni passo mi provoca un senso di nausea leggera e un po' di tristezza. Alla base di questo disagio probabilmente c'è il pensiero di questa città come proiezione distopica di un paradiso/inferno futuro in cui l'uomo materializza senza badare a spese, anzi esagerando nello sperpero, i propri istinti estetici (e non solo) più volgari. A parziale sollievo di queste note però assistiamo qui anche ad uno spettacolo che si rivela (almeno per me) al di sopra delle aspettative: un vero rodeo. Vero perchè è la finale nazionale per nativi americani (i cosiddetti pellerossa), con tanto di gara e di riprese televisive. Uno sport che forse gli animalisti considerano violento nei confronti dei cavalli e dei vitelli coinvolti loro malgrado, ma che è sicuramente una dimostrazione di abilita', forza e destrezza dei concorrenti, ed uno spettacolo coinvolgente da seguire.

Ripartiamo la mattina seguente alla volta della nostra prossima meta: il Parco di Yosemite, attraversando la Valle della Morte. Qui il sottoscritto (supportato da Luigi che c'era già stato ma ci tornava volentieri) chiede una deviazione per toccare il picco di Dante's View ed il mitico Zabriskie Point, set della selvaggia scena di amore libero dell'omonimo film di Antonioni. OK chi c'è stato potrà dire (e non lo nego) che questo non è il sito più spettacolare di quelli visitati (nelle Badlands ce n'erano di simili ma molto più scenografici) ma per i rincitrulliti come me che hanno vissuto se pur da lontano e di rimbalzo l'epoca mitica delle ribellioni giovanili dei figli dei fiori fine anni sessanta è una visita da non mancare. Messa la spunta pure qui... gogogo

Yosemite National Park : La deviazione nel cuore della Death Valley, il lungo tragitto, l'attraversamento del Tioga Pass a più di 3000 metri di altezza ci fanno arrivare a Yosemite la sera col buio. Ci fermiamo nel villaggio per un po' di spesa di sopravvivenza. Qui ci fermeremo infatti per tre giorni: abbiamo preso in affitto uno chalet in mezzo ai boschi, a 18 Km dal negozio più vicino. Ci avviamo su per le risvolte in salita della strada in un bosco di conifere maestose, e quando arriviamo al punto dove ci dovrebbBrycee essere la nostra abitazione entriamo in un dedalo di viuzze ed il bosco è punteggiato da radi lussuosi villini e chalet dall'indirizzo difficilmente decifrabile. Dopo un po' di ricerca infruttuosa la stanchezza e lo sconforto stanno per prendere il sopravvento quando, dopo diversi tentativi a vuoto, troviamo la "nostra" casetta. Da fuori sembra accogliente, ma dentro è molto di più. Una vera favola: spaziosa, arredata con tutti i comfort immaginabili e anche quelli non immaginabili, inclusi doppio forno, elettrodomestici di tutti i tipi, attrezzatura da cucina da "Master Chef", caminetto e poltrona con massaggio Shiatsu lombarefischio. Anche stavolta abbiamo svoltato bene, e quando al mattino vediamo i cerbiatti che sbirciano curiosi da dietro i vetri delle finestre la violazione della privacy non ci infastidisce bleh.

Yosemite è un posto bellissimo ma molto diverso da quelli visitati finora. Dopo le esalazioni sulfuree dello Yellowstone, dopo i paesaggi lunari dei parchi dello Utah, Yosemite è più familiare, più simile (mutatis mutandis) alle nostre valli montane. Nel parco facciamo due belle passeggiate: la prima a vedere due cascate che scendono dai famosi strapiombi verticali granitici del parco; l'altra sul "Sentinel Dome" ad ammirare la valle dall'alto, con una spettacolare vista sulle due pareti di arrampicata più famose del mondo: quella di "El Capitan" e quella dell' "Half Dome" (in foto). Quest'ultimo è un incredibile panettone di granito tagliato in due dall'affilato coltello di un ciclope che se ne è poi mangiato la metà. Qui potrei fermarmi un mese, percorrendo ogni giorno un sentiero diverso o semplicemente standomene ad osservare quegli incredibili ragni che salgono su per il muro piatto e liscio di "El Capitan" con le loro zampette che sembrano adesive, invidiandoli per il coraggio, l'abilità e la gioventù.

Monterey e San Francisco : E dopo l'America profonda delle praterie e le montagne di Yosemite non poteva mancare il mare, e non ce lo faremo mancare, infatti... Via dagli abeti e dalle cascate, puntiamo decisi verso la costa del Pacifico. Abbiamo un giorno da trascorrere senza programma prestabilito, prima di andare a San Francisco dove abbiamo un albergo già prenotato e concluderemo la parte di viaggio in comune coi nostri amici. L'idea oggi è quella di farci guidare dalle suggestioni letterarie, che qui non mancano di certo. Big Sur però è un po' troppo a Sud, e quindi non ci lasciamo tentare da Kerouac ma decidiamo per la Monterey descritta da Steinbeck nel suo "Vicolo Cannery". Approdiamo sull'oceano a Carmel By The Sea, cittadina californiana molto à la page frequentata da bella gente con un sacco di soldi e puzza al naso. La spiaggia è affascinante, negli spruzzi delle onde svolazzano gabbiani e pellicani, e uno scoiattolo intraprendente viene ad assaggiare la mia birra che avevo poggiato sulla vecchia radice di una thuja secca. Decidiamo di andare leggermente più a sud, a Point Lobos per vedere se il posto è all'altezza del suo nome ("Lobo de mar" in spagnolo sono i leoni marini, quelli che in italiano dovrebbero chiamarsi "otarie" ma tutti chiamano foche) ma dei leoni marini neanche l'ombra. Qualche muso lo si intravede spuntare in mare aperto, ma di stare sugli scogli non ne hanno proprio voBryceglia.

Delusi dai pinnipedi dirigiamo le ruote verso Monterey, dove facciamo una bella passeggiata sul lungomare del vicolo (oggi in realtà una strada turistica piuttosto affollata) che ospitava le industrie conserviere del pesce nei primi decenni del secolo scorso. Anche qui io ricordavo di aver visto, nel 2007 (sembra ieri) stuoli di leoni marini sul molo a godersi il sole, ma niente da fare. I leoni marini, insieme alle alci, rimangono per la prossima volta. Dopo Monterey puntiamo la prua direttamente a Nord, verso San Francisco, dove arriviamo dopo un pernottamento molto movimentato a Redwood City, nella Great Bay Area.

San Francisco è una città interessante ed esteticamente attraente. I suoi saliscendi vertiginosi percorsi dai tram trainati da cavi sotterranei sono universalmente noti. Il primo giorno facciamo il giro della parte nord della baia, attraversando il Golden Gate verso Sausalito e tornando via Berkeley e Oakland Bridge. Il centro cittadino ce lo giriamo percorrendo le grandi e caratteristiche Chinatown e Little Italy. Non ci facciamo mancare una puntata in un altro luogo cult della controcultura americana anni 60: la mitica libreria "City Lights" che in effetti oltre ad essere una istituzione è molto bella e caratteristica. Ceniamo per due sere al Pier 39 di Fisherman's Wharf (che è come dire il posto più affollato nel posto più turistico della città, come cenare in Piazza Bresca a Sanremo glare ) assecondando la tendenza al conformismo culinario della maggioranza dei partecipanticipperimerlo. E dopo la seconda cena salutiamo i nostri compagni di viaggio che domani all'alba saliranno in macchina alla volta dell'Aeroporto di San Francisco, per volare a Boston e poi back to Italy.

Noi restiamo ancora un giorno qui, e poi andiamo a trovare Roberta a Philadelphia, dove vive ormai da più di un anno. Il giorno seguente, senza macchina, attraversiamo San Francisco in bus e facciamo un giro nel coloratissimo e strambo quartiere hippie di Haight-Ashbury dove come in una riserva indiana vivono gli ultimi esemplari di questa razza ormai quasi estinta sad. E per finire in bellezza il nostro breve soggiorno decidiamo di seguire il consiglio di un amico che ha abitato qui non molto tempo fa: facciamo una lunga passeggiata sulla sconfinata spiaggia di Ocean Beach e poco dopo un infuocato tramonto sul Pacifico osserviamo dalla terrazza della Cliff House i colori trasformarsi nel buio davanti a un Negroni, perchè le buone abitudini non vanno mai dimenticate... E stasera, per celebrare la ritrovata indipendenza gastronomica, cena in un ristorante coreano! drool

Philadelphia : Tre giorni tranquilli con la possibilità di stare un po' con nostra figlia, in quella che, almeno oggi, è la "sua" città. Una città abbastanza rilassata, facile da girare, con la zona centrale chiusa tra due fiumi e le strade che si intersecano perpendicolarmente secondo le direttrici Nord-Sud e Est-Ovest. Questa specie di scacchiera ha al centro, all'incrocio tra le due arterie principali (Market e Broadway) un imponente palazzo municipale a pianta quadrata con una bella torre dell'orologio. La città vanta, come Boston, una storia pluricentenaria (caratteristica non comune in America) e la sua zona più antica, e molto ben conservata, si trova a ridosso del fiume Delaware. In questa zona si trovano la casa di Betsy Ross, la tappezziera che cucì la prima bandiera americana, Elfreth's Alley, un vicolo conservato come era a fine 700 e soprattutto un simbolo venerato da tutti gli americani: la campana che suonò nel 1776 per chiamare i cittadini in occasione della dichiarazione di indipendenza. Questo cimelio, chiamato "Liberty Bell", al di là dell'importanza storica e simbolica non susBrycecita nel turista europeo medio alcun entusiasmo...

Altre cose degne di visita in città sono il belvedere al 57simo piano di un grattacielo in centro, che consente una vista notevole della città dall'alto, e le opere di un artista contemporaneo, tal Isaiah Zagar. L'opera di questo personaggio visionario e un pò folle è secondo me una buona esemplificazione dell'espressione latina "horror vacui". La sua creatura più nota, il "Magic Garden" in South Street, è un luogo in cui ha assemblato a mo' di mosaico tridimensionale ogni genere di oggetto purchè strano, contorto, estraneo e soprattutto colorato o luccicante. Un'altra sua opera in qualche modo più convenzionale è la decorazione a mosaico di tessere e specchi colorati di un edificio nella zona Nord, chiamato "Painted Bride". Sicuramente degno di nota infine è il Museo delle Arti che, oltre ad essere meta turistica per la scalinata d'accesso resa famosa dal film "Rocky" con la scena della corsa di Sylvester Stallone, è anche sede di una bella e interessante collezione di opere che includono un ritratto di Antonello da Messina, che non molti musei al mondo possono vantare. Quando lo abbiamo visitato il museo ospitava anche una mostra di abiti di alta moda della Maison Dior che, per quanto io non sia assolutamente un appassionato del genere, ho trovato piacevolissima da vedere. Ad alcune delle opere viste nel museo, ed alla mostra di alta sartoria, è dedicata una pagina di foto a parte.

Ma soprattutto il tempo passato con Roberta, per noi prezioso. Abbiamo passeggiato, chiacchierato, pranzato e cenato insieme. Abbiamo visto la sua casetta in un quartiere molto carino, una strada in centro con tante piante e fiori in tutte le case, compresa la sua. Abbiamo passato una bella serata in un locale simpatico, ascoltando Jazz da un trio di composizione insolita: banjo, basso tuba e una tromba suonata da un eclettico trombettista che ogni tanto posava la sua cornetta e staccandone l'imboccatura suonava teiere ed altri oggetti che tirava fuori da una borsa stile Eta-Beta. Una degna conclusione per un viaggio che sicuramente non dimenticheremo tanto presto.

FG.