Intro
(voce di sottofondo) Forza, devi farlo!
(in primo piano) Manno', dai, non ce n'ho per il cazzo, perche' devo farlo? In fondo chi mi obbliga, cio' un casino di altre cose da fare, mica l'ha ordinato il medico?
(sottofondo) No, lo sai che devi farlo, e' per la tua salute mentale, per non lasciarti andare, e' come lavarsi i denti la sera, come farsi la barba due volte la settimana, farsi la doccia una volta ogni tanto e respirare una volta ogni due secondi: se smetti sei morto.
(primo piano) Senti, coscienza, vaffanculo, questo mese e' stato una montagna di cose, tutte una appresso all'altra, non ho neanche il tempo di riflettere, Birmania, Budapest, valutazioni. E' il 29, e questo mese ha solo 30 giorni! Ti prego, abbi pieta' di me... Comecazzo faccio a scrivere qualcosa di decente? Vabbe', hai ragione, questo non e' un problema, non ho mai scritto nulla di decente e continuero' a non farlo. OK Allora come viene viene. E' proprio che quando manca l'ispirazione... Ti senti come Michele Serra quando scriveva del ragazzo mucca, come l'autore pazzo di Shining ed il suo mattino dalla bocca dorata. Non voglio continuare la saga della sistematica linneana e dei suoi ambigui doppisensi, ci sara' tempo per farlo. Allora faccio una cosa che proprio non so fare ma che mi sarebbe piaciuto fare: Il Critico Musicale, per essere, come il Bertoncelli gucciniano, libero di sparare cazzate. Percio' ecco il
Pensierino del mese di Dicembre 2012:
Fava Plays Battisti
In questi giorni in macchina, tra gli altri, mi suona questo disco: Enrico Rava: Rava Plays Battisti. Un omaggio alle canzoni che hanno accompagnato la mia adolescenza, e che ascolto volentieri. Un drappello di musicisti coi controcazzi. Oltre al grande guru dai lunghi capelli grigi ci sta un gruppetto che e' quanto di meglio possa offrire la scena italiana. Roberto Cecchetto (il meno noto del manipolo) suona la chitarra elettrica, Roberto Gatto (questo gia' ben piu' conosciuto) la batteria, e poi il genietto malefico di Enzo Pietropaoli al (contrab)basso e l'immenso Stefano Bollani al piano.
Attacca il primo brano. E' fin troppo facile abbandonarsi alla lagrima agra della nostalgia. Le note asciutte, scarne, essenziali (lo so, scrivo troppi aggettivi) soffiano fuori dalla tromba di Enrico Rava un passato-presente mobido e lento e quello che le accompagna inizialmente sembra un organo (ma non puo' esserlo, che sara'? Forse la chitarra elettrica?) ...io lavoro, e penso a te, torno a casa e penso a te, le telefono e intanto penso a te. Poi, dopo le prime due frasi, timidissimi e soffici entrano la batteria (con le spazzole), il contrabbasso e il piano. Ancora un paio di frasi ...pero' si stan cercando, cercando... e la tromba di nuovo sembra soffrire e fatigare un po' nello spingere fuori le note/parole pensierose e malinconiche.
In fondo non e' il suo mestiere, no? Lui e' Jazzista con la J maiuscola, che c'entra con la canzonetta mogolbattistiana? A allora, vai, dal minuto 2:30 un po' di improvvisazione sulla base cosi' sof(t)isticata gentilmente offerta da quel manipolo di perfetti eroi che, da grande nome (o nume?) della musica italiana ha avuto il privilegio di assemblare per questo piccolo florilegio/omaggio al Lucio nazionale.
Non ci sono piu' parole dal minuto 2:30, solo musica, dolce e liquida, con le note della tromba ora piu' nette e meno soffiate, il campo ora e' suo, Rava per un po' se ne fotte di Battisti e degli omaggi e va per la sua strada, e i suoi compagni di viaggio lo seguono, per ora schiavi e asserviti al capogruppo. Poi la chitarra elettrica si fa sentire e dal 4:40 si procura un suo spazio espressivo. Qui naturalmente gli amanti di Battisti si sentiranno un po' spersi: Dov'e' finito Lucio? e allora arriva quel geniaccio di Bollani, al sesto minuto, a riportarci a casa, e lo fa da par suo: riconoscibile e strano, pacato e sincopato, va e viene dalla melodia come onde di un oceano inquieto ma non arrabbiato. Si perde, ma poi... qui e' "si stan cercando, cercando", poi si allontana di nuovo, nella magia degli ammiccamenti. A volte una sola nota ci ricorda il tema, poi si perde definitivamente sulla sua tastiera, gioca al folletto che saltella tra i tasti.
Quasi nove minuti: rientra il soffio parlato della tromba con un'enfasi forse esagerata, e dopo aver rimproverato il tentativo di applauso del pubblico (e' un disco live), gioca qualche altra nota stanca e malinconica, poi si tira l'applauso con un finale tremolato.
Non amo Rava, mi risulta scostante e antipatico. Ma e' un musicista. Anche Dali' era antipatico, ma era un pittore. E se uno e' un pittore, o un musicista, non importa se e' antipatico, deve essere bravo, e Rava lo e', nonostante tutto. Deve suonare, e senza troppo sussiego, deve farlo naturalmente, senza perdere tempo a cercare una simpatia che non riuscira' comunque a suscitare, perche' chiunque se la tiri troppo non puo' essere simpatico. E quindi poteva risparmiarsi la battuta alla fine del brano, quando finge di sbagliare i nomi dei collaboratori, cercando di strappare un sorriso che in effetti non arriva. Suona, Rava, che e' meglio.
L'attacco del secondo brano e' un po' fuori luogo. Il Cecchetto chitarrista gioca a fare il Jimi Hendrix troppo spudoratamente, per piu' di due minuti, con note strascicate e distorte che dovrebbero essere una introduzione, ma che non riescono a ricordare la canzone fino a quando, con l'ingresso del basso, le cose migliorano un po' e poi il riff inconfondibile di "amarsi un po'" viene fuori finalmente al minuto 3:30. La tromba qui e' secca, stringata. Si mangia qualche nota (non per errore, ma per un migliore "effetto Jazz") ma la melodia e' riconoscibilissima, e l'accompagnamento cronometrico e trascinante aiuta la voce dello strumento solista.
Pochi florilegi, il tema sempre ben avvertibile anche grazie alla base che non devia troppo dalla retta via, il brano scivola piacevole anche con qualche piccolo virtuosismo tecnico e suspence sincopata. Al minuto 7:15 si torna a bomba col tema, che sfila verso la conclusione in cui Rava come al solito farebbe meglio a tacere piuttosto che dire di aver suonato "amarsi un poco", che notoriamente era "Amarsi un po'".
Il terzo brano, "aver paura di innamorarsi troppo", non lo conosco e quindi non mi suscita particolare emozioni, e quindi non lo commento (libero arbitrio dell'autore).
Rientriamo con "mi ritorni in mente". questo si', lo conosco. Attacca la tromba che esegue in maniera piuttosto semplice la melodia, accompagnata da un pianoforte etereo e discreto. Solito ingresso soft della batteria con le spazzole e del basso per rafforzare la parte ritmica di base, ancora un paio di frasi della tromba. Nella testa mi frulla: "Ma quand'e' che arrivera' "ma c'e' qualcosa che non scordo"? sai che bel casino, li' saranno costretti ad accelerare il tempo, magari ci ficcano qualche bella invenzione veloce".... Niente, ma c'e' qualcosa che non scordo potete scordarvelo, e' tutto mi ritorni in mente, tutto molto sobrio, elegante, tutto col frac e i capelli grigi alla Paolo Fava. Paolo Fava e' la geniale imitazione di Enrico Rava fatta da Fiorello, ve la ricordate? Se no, cercate "Fiorello Paolo Fava" su Youtube, e troverete anche questa esilarante esibizione che ci riporta in un cortocircuito involontario ai temi del pensierino di novembre.
Bollani sta al gioco e intorno ai 5:30 entra col suo assolo che come al solito ha momenti di genialita' sicuramente superiori a quelli del suo maestro e mentore dai baffi alla Gengis Khan, poi torna la tromba leggermente sonnifera. Niente accelerazione "quella sera ballavi insieme a me e ti stringevi a me". Peccato. Una bella occasione mancata. Magari anche la chitarra elettrica avrebbe potuto, coi suoi toni hendrixiani, contribuire positivamente.
Vabbe', passiamo al prossimo brano. Bellissimo: Innocenti evasioni! Intro ineccepibile chitarra-basso-batteria-pianotintinnante, cosi' com'e' ineccepibile il fraseggio della tromba che fa il suo ingresso al minuto 1:00. La tromba ancora una volta canta con la sua voce un po' soffiata, solo con un tempo piu' veloce dell'originale. Le due frasi iniziali, po la suspence e lo stupore: Ma come mai tu qui, stasera? Ti sbagli, sai non potrei... e poi la stonatura calante sull' "e poca luce per sognarti" che sfuma sul pianoforte.
A questo punto iniziano le improvvisazioni, che sono veloci e piacevoli. La tromba scivola veloce sulla strada resa liscia e scorrevole dall'affiatatissima sezione ritmica che si concede solo poche invenzioni, lasciando terreno libero al boss. Un po' di accelerazione controllata fino al minuto 4:30, quando si ritorna al tema ripetuto abbastanza insistentemente da tirarsi dietro il Bollani nazionale che segue ubbidiente per le prime due frasi, poi si lancia nelle sue piccole svise (e perche' non dovrebbe?) senza tuttavia alzare piu' di tanto l'ingegno. Pian piano si ritorna al tema e l'allievo restituisce il favore al maestro, tirandosi dietro la tromba che rientra puntuale intorno al minuto 7:15, riprendendo la sensazione di leggera follia, ma adesso arriva qualcuno, sorriso ingenuo e profumo (sorrido intanto che fumo?) ed e' piacevole lasciarsi andare di nuovo al conosciuto, in fondo siamo qui per questo.
Massi', dai, fai ancora un paio di scale veloci giusto per concludere in bellezza e poi sfuma, siete bravi, OK, lo sappiamo, e vi meritate l'applauso. Pero' no, ti prego, Rava/Fava, non parlare!
Invece lo fa, con la sua voce sommamente antipatica, e presenta il pezzo forse piu' bello, "Il tempo di morire (motocicletta 10HP)". Qui il borioso trombettista cade di nuovo nella tentazione di far ridere la platea, dicendo che in un concerto giaaas e' obbligatorio per legge fare un pezzo blues (come questo sarebbe). Il tentativo naturalmente fallisce miseramente, nessuno ride e un timido applauso evidentemente partito da una claque pagata dal maestro nasconde l'imbarazzo.
Attacca percio' Enzo Pietropaoli un assolo di basso, che come tutti gli ascoltatori di jazz sanno sono gli assoli piu' ermetici e difficili da capire e da digerire. Il Pietroeppaolo ce la mette tutta per smentire questa che non e' una leggenda metropolitana ma una triste realta'. Quasi ci riesce: in un misto di note che hanno spesso sonorita' leggermente etnico-arabe si riconoscono abbastanza facilmente spezzoni di frasi "Motocicletta, 10 HP, tutta cromata, e' tua se dici si'". Seguire le frasi e le elucubrazioni e' a tratti arduo, ma poi il genietto malefico al minuto 3:30 ci strizza l'occhio buttando dentro una citazione de "La gallina coccode'" (l'ho ascoltato per quattro volte pensando: "ma questa la conosco...", poi ci sono arrivato); suscita un sorriso e risuscita l'attenzione che calava dopo tutte quei ghirigori. Adesso che ve l'ho detto sembrera' facile...
L' esercizio di stile di Pietreppaolo si risolve in gloria quando Enzo decide di averne abbastanza e di attaccare il riff di basso riconoscibilissimo e trascinante, solo verso il minuto 4:30 (che, a onor del vero, comprende pero' anche l'intro parlata ed evitabile del Maestro Rava).
Eccolo, sfido chiunque a non riconoscerlo. E' lui, e l'applauso liberatorio del pubblico lo sottolinea. La tromba stavolta recita il tema accompagnata dalla chitarra elettrica che gli fa il verso, con la sezione ritmica che fa il suo sporco lavoro come sempre in maniera ineccepibile, con i tocchi lievi di Bollani a sublimarne l'effetto. Due giri di ripetizione del tema, incluso non dire no, lo so che ami un'altra, ma checciposso fare? Attacca al minuto 6:50 la chitarra elettrica con un assolo che a tratti e' pure piacevole, ma mette in evidenza come questo sia un po' il punto debole della formazione: senza di lui (Roberto Cecchetto) secondo me la serata si sarebbe retta benisimo ugualmente, ma forse il repertorio richiedeva la presenza di uno strumento che, per quanto ormai abbastanza assimilato nelle piccole formazioni jazz, ne resta pur sempre leggermente estraneo. Eppoi vabbe' che dovevi echeggiare un po' di rock primi anni settanta, ma c'era proprio bisogno di fare il verso ad Alvin Lee o a Johnny Winter?
Al minuto 9 il piccolo parossismo elettrico lascia il posto ad un'improvviso ingresso del piano, con uno stop sottolineato prima da una serie di bacchettate della batteria (una punizione simbolica per il plettro di Cecchetto?) e poi da un colpo sui tasti bassi di Bollani (9:25). Il ricciuto nasone beffardo si prende la scena con la sua ineffabile grazia e mette insieme un po' di invenzioncine dal suo sterminato repertorio (sentite cosa combina con le due mani intorno al minuto 10:30! come se un pianista smaliziato suonasse insieme ad un bambino che per dispetto gli pesta sui tasti). Ancora un improvviso cambio di registro al minuto 11:45, quando nuovamente la batteria richiama tutti all'ordine per spianare la strada all'ingresso del Maestro, che infatti si introduce puntuale a salire e a scendere con le sue piacevoli scale. Dopo aver ricordato a tutti, con le sue improvvisazioni, chi e' che comanda, al minuto 14:30 lascia spazio ad un breve solo della batteria di Roberto Gatto, veloce, secco e sicuramente non prolisso, (uno dei pochi dischi di jazz senza un vero assolo di percussioni!) sottolineato dall'applauso del pubblico che ha capito che ormai stiamo per finire, sulle note della ripresa del tema al minuto 16:00.
Finito.
Un disco che sicuramente consiglio all'insieme delle persone (e sono tante) che conoscono e amano Battisti, intersecato con l'insieme delle persone (e queste forse sono di meno) che amano provare qualcosa di diverso e non temono una piccola incursione in un territorio piu' rarefatto e intellettualoide, piu' da cagabignole, insomma, come e' il Jazz, senza doversi rompere testa e orecchie con Anthony Braxton o Cecil Taylor. I cultori del Jazz, per contro, potranno forse storcere la bocca di fronte ad un'operazione che puo' sembrare sfrontatamente di basso profilo e forse pure vagamente commerciale, ma sotto sotto si ritroveranno anche loro a canticchiare "tra le tue braccia cosi', domani puoi dimenticare... adesso dimmi di si'"
Io che sono un musicofilo onnivoro e poco acculturato (una specie di maiale di fronte al trogolo della musica, insomma) mi sono goduto, in macchina, la sua compagnia, pur senza considerarlo un capolavoro come certamente non e'. Interessante notare come il piccolo concerto dal vivo facesse da spalla alla esibizione di un personaggio almeno discutibile della musica cosidetta colta, Bobby Mc Ferrin. Sicuramente sintonico, comunque. La contaminazione tra musica "leggera" (canzonetta italiana, cheschifo!) e jazz e' come una drag queen, un transgender con piume e paillettes, insieme attraente e leggermente scostante, cosi' come il fenomeno da baraccone della voce (meglio, del suono) proteiforme di Bobby McFerrin ben si adatta a numeri da circo con piume e paillettes ma anche a riflessioni piu' profonde e a veri lampi di genio creativo. Come l'apparentemente borioso Rava abbia potuto accondiscendere ad un ruolo da comprimario mi e' difficile da capire, magari e' meno scostante e piu' umano di quanto sembri...
FG
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Il 24 Dicembre 2012 alle 8:23:01 Vincenza Ha commentato:
Il tempo a disposizione è poco ma i racconti sempre interessanti, un augurio di buone feste, Vincenza
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Il 17 Dicembre 2012 alle 15:57:03 Rob Ha commentato:
E bravo ... sei riuscito a farmi leggere fino in fondo un disco ... e ora me lo devo comprare... Ciao!
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Il 10 Dicembre 2012 alle 0:41:59 FG Ha commentato:
@ziella: ...i reggiseni restano il campo meno esplorato e per questo il piu' attraente... :-)
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Il 07 Dicembre 2012 alle 19:52:15 Ziella Ha commentato:
Esperto di funghi, di orchidee, di reggiseni, ed ora anche di musica!! Mi stupisci sempre!!