Pensierino del mese di luglio 2013:
Piu' dolci del vino
"Baciami con i baci della tua bocca! Si', le tue carezze sono piu' dolci del vino"
Cosi' inizia il Cantico dei Cantici, che piu' che un libro biblico sembra un inno all'amore e alle gioie terrene. Ma chi l'ha detto che il vino e' dolce? Molto piu' spesso etereo, profumato, ma asprigno, se vogliamo pensare a qualcosa di dolce non pensiamo a un bicchiere di vino, tutt'al piu' a una cucchiaiata di miele o di Nutella(TM). Ma probabilmente in Palestina i vini piu' pregiati erano proprio i vini dolci passiti, onore e orgoglio delle regioni che lambiscono il mediterraneo e sfruttano tutta la potenza del sole per maturare le loro uve, creando gradi zuccherini impensabili nei fredde lande dell'Europa centro-settentrionale. Nel Nord quando proprio non devi accontentarti di un'amara cervogia puoi bere un bianco profumato, o un rosso piu' o meno erbaceo o corposo.
Ma i vini dolci, che spettacolo!
Se la vita mi regalera' tempo e voglia sufficiente per sfogliare i 38 volumetti della rivista di Slowfood che conservo (per abbondanza di spazio e non per valore intrinseco) nella mia libreria, riusciro' a ritrovarlo. Stasera ho scorso i titoli sulla spalla dei trentotto tomi, ma non l'ho scovato, secondo gli editori l'articolo sul Vinsanto non meritava uno "strillo" da copertina. Invece il pezzo era proprio bello, scritto cosi' semplicemente bene come io non sapro' mai fare. Per questo cerco di riprendere quei concetti ed innestarli sui miei ricordi di infanzia e di giovinezza. Cominciando col Vinsanto, per ampliare poi l'argomento senza abbandonarne etilicita' e dolcezza.
Chi mi conosce bene sa che sono un semialcolizzato (eufemismo di circostanza) felice di esserlo, grazie ai piaceri che questo vizio (come ben poche virtu') possono darti. Ed il Vinsanto e' forse il mio peccato originale, la mela morsa un tempo, il cui sapore resta eterno nel cervello e nel naso, nella lingua e nella gola. Un sapore che torna sempre piu' raramente (e fra breve saprete il perche') e che ogni volta mi riporta in bocca l'aroma dolce della giovinezza. Eravamo ancora bambini, intorno a un grande tavolo di legno con una tovaglia di plastica a disegno dozzinale. Nella vecchia foto in biancoenero brindiamo al mio quinto compleanno. Non ricordo cosa ci fosse dentro ai bicchieri, magari era uno spumante di serie B, acquistato per la circostanza, ma il colore piu' scuro e la mancanza di bollicine non mi lasciano molti dubbi: li' dentro c'era il dolce Vinsanto dello zio.
Zio Angelo era (ed e') agricoltore in Val Tiberina. Guadagnava da vivere per se' e per la famiglia col grano, il mais ma soprattutto col tabacco. Allevava anche qualche porcello, pecora, vitello, gallina, oca, anatra e coniglio. Ma tutti in maniera artigianale, per uso famigliare e senza fini di lucro. Certo se c'e' qualcosa che avanza si puo' vendere, ma lui non ha mai messo su un allevamento suino pestifero ed inquinante, con griglie di metallo entro cui le povere bestie dovessero ferirsi il grifo per andare a grufolare
la broda artificiale.
Non sono mai stato succubo della retorica per cui tutto cio' che e' contadino e genuino e' per forza buono. Lo zio faceva roba genuinissima ma sinceramente non buona, come i salami (troppo salati e pepati, troppo grossi e proni ad un irrancidimento precoce), o il vino rosso, fatto con uva mescolata a caso e senza attenzione ad amore. Vino asprigno, senza vigore, che lui si ostinava ad osannare ma con scarsa convinzione. Un paio di cose, pero', le faceva proprio bene. E di queste due, almeno una era e resta nei miei ricordi sublime.
Il Vinsanto.
E' un vino passito. Si vendemmiano tardivamente i grappoli migliori di uva bianca e dolce (trebbiano, moscato, malvasia), poi si mettono a seccare, o appesi su canne di bambu' o stesi su graticci aerati. L'appassimento non si svolge al sole, ma all'ombra dei solai delle case coloniche. E qui c'e' il primo trucco. Negli stessi solai si appendevano le foglie di tabacco essiccato (che, come ho detto piu' sopra, era la prima fonte di reddito). La prossimita' del profumatisimo tabacco nero toscano con i grappoli di uva bianca stesa a seccare conferiva a quest'ultima un aroma forte e profondo. Fin qui, a parte lo sposalizio col tabacco, niente di originale rispetto ai vini passiti che si fanno in altre regioni italiane. Ma qui c'e' la prima particolarita' che rende il Vinsanto diverso dai suoi cugini del sud e del nord (anche al Nord si fanno passiti, da Caluso a Chambave, da Trento a Cormons).
Per fare il Vinsanto non e' sufficiente il mosto di uva appassita, ci vuole la madre. Come per l'aceto, il processo di produzione del vinsanto ha bisogno di un catalizzatore, che altro non e' se non il residuo torbido e viscoso, la feccia che resta nei caratelli dalle produzioni precedenti. Il caratello e' una piccola botte (lo zio ne aveva due da 25 litri ciascuna) in cui il vinsanto matura per un paio d'anni o piu'. Quando si spillano le bottiglie, si lascia nel caratello il fondo che costituira' l'innesco per la fermentazione del vino nuovo, e gli trasferira'l'aroma forte e caratteristico.
Riassumendo, quindi, uve appassite (se in un ambiente intriso di aroma di tabacco meglio), caratelli piccoli e vecchi, presenza della "madre", la feccia del caratello riusata per il vino nuovo. Ed infine il metodo di maturazione, che rende il Vinsanto unico tra tutti i vini.
Il concetto stesso di vino porta con se' quello di cantina, come luogo buio, umido, fresco ed a temperatura costante, necessario per la lenta maturazione degli aromi, una quieta sonnolenza non disturbata da variazioni forti di luce o di calore. Il vinsanto no, lui ama le esagerazioni. E matura, dentro i piccoli caratelli, nei solai, non nelle cantine. Il solaio, il sottotetto della casa colonica, e' sottoposto a forti variazioni termiche sia giornaliere che stagionali, passando dall'essere un forno nei meriggi assolati di agosto a una ghiacciaia nelle fredde notti invernali. Ma e' qui, in questa esagerazione di cambiamenti termici, nell'alternanza della luce col buio, nel respiro circadiano della vita che il vinsanto sviluppa le sue note aromatiche particolari.
Infine, una volta messo in bottiglia, se il grado alcoolico e' sufficiente (e lui non e' uno di questi passitini sdilinquiti da 13 gradi, tutto odore e niente forza, che vanno di moda oggi: se non ha 16-18 gradi non e' Vinsanto) e' praticamente eterno. Un tempo alla nascita di una figlia in alcune famiglie produttrici si metteva via una bottiglia l'anno, fino al matrimonio quando si aprivano tutte. E naturalmente non veniva conservato in cantina, ma in uno scaffale alto nella grande cucina della casa colonica, magari addirittura sopra il camino, perche' il Vinsanto non teme la luce ne' il buio, ne' freddo o il caldo.
Certo, il Vinsanto artigianale e' un prodotto dalla qualita' incostante. A volte denso e mieloso, dolcissimo, che nel versarlo ricorda l'olio (adatto per i gusti piu' schiavi della lingua e del palato che del naso, un Vinsanto "da donne"). A volte piu' arido e alcoolico, spinge i suoi profumi forti direttamente nelle narici, lascia la gola lievemente piu' secca, un Vinsanto "da uomini". Ma l'aroma e' sempre inconfondibile, un aroma che nessun Antinori potra' mai restituirci con i suoi metodi da wikipedia.
Potete andarla a vedere, la pagina di wikipedia relativa al Vinsanto per capire che cosa esso sia
diventato oggi. Uno dei tanti (sicuramente troppi) vini passiti italiani, senza nessuna particolarita' e carattere, fatto come si fanno tutti gli altri. Antinori se ne fotte dei caratelli, della madre, dei solai, del tabacco e produce qualcosa di simile a quello che fa Florio in Sicilia e Zonin nel nordest.
E siamo qui passati a parlare dei passiti in generale, che' del vinsanto ormai abbiamo detto quasi tutto. I vini passiti, da venti-trent'anni a questa parte, hanno, nel mio ricordo e nella mia ben limitata esperienza, subito un grossa evoluzione (o involuzione) in due direzioni.
L'industrializzazione e l'economia di scala hanno consentito la produzione di un buon numero di passiti
(e piu' in generale vini dolci) da scaffale di supermercato. In sicilia Pellegrino, Florio, Martinez vinificano moscato, zibibbo, malvasia e altri bianchi dolci in forma sia passita che non, con risultati secondo me apprezzabili (anche se molto "omologati") e soprattutto a prezzi molto economici. Una bottiglia di "Grecale" (che non e' un passito) di Florio costa intorno a 5-6 Euro ed ha tutto il diritto di accompagnare degnamente i dolci alla fine di una buona cena. Si trovano dei passiti di Pantelleria (ma chissa' se vengono proprio tutti di li', difficile a meno che la superficie di quest'isola sia raddoppiata di recente) a prezzi paragonabili e che danno buone sensazioni al palato e al naso.
Si arriva fino ai 12-14 Euro la bottiglia per il (per me) mitico "Tanit", passito di Pantelleria della mia gioventu' che mantiene una qualita' assolutamente decorosa a un prezzo ancora accettabile (per la bottiglia, nota bene! da 750 ml). Ma e' ormai quasi introvabile, lo tiene oggi solo un ipermercato nei dintorni di Torino, e quando ci passo ne faccio scorta, aspettando triste il giorno in cui non lo trovero' piu'.
Il marketing, sovrano indiscusso di nostri stili di vita, a fianco a questa tendenza di produzione e vendita di massa di un numero limitato di prodotti a buon prezzo, ha sviluppato in parallelo una linea che chiameremo "da fighetti", di prodotti teoricamente molto raffinati e praticamente molto costosi che nella loro maggioranza a mio avviso proprio non mantengono le promesse e non valgono quello che costano. Questa linea e' stata innescata secondo me dalla produzione di Carlo Hauner a Salina con la sua Malvasia delle Lipari. Negli anni 70-80 questo (non a caso) architetto/artista bresciano scese nell'isola e mise in piedi una produzione del vino dolce locale con metodi molto "naturali" per quanto riguarda il trattamento delle vigne, ma con metodi moderni per la vinificazione della Malvasia coltivata in queste terre particolari per clima e costituzione del terreno. Il risultato fu un vino molto profumato ma dal tenore alcoolico moderato.
Queste caratteristiche (profumo intenso ma scarso "corpo" etilico) hanno poi informato, come una moda prepotente, tutta la produzione di vini dolci e passiti dal sud al nord italia, come caratteristiche di "raffinatezza". In questo caso sono stato proprio sfortunato, la moda non e' andata dietro ai miei gusti che sono molto piu' grezzi ed apprezzano vini dolci dai 15-16 gradi in su.
E' da notare peraltro che questa tendenza e' assolutamente contraria a quella che ha fatto sviluppare in senso opposto i rossi ritenuti "grandi". Oggi un barbera barricato (che in relta' del barbera del nonno non ha proprio niente) se non ha 14-15 gradi neanche viene considerato. E pensare che il barbera (anzi, la barbera) era il vino da pasto per eccellenza dagli anni del dopoguerra, e se faceva 11 gradi era gia' tanto!
Questa linea di produzione "fighetta" conta ormai un numero enorme di piccole etichette in giro per l'Italia. Chiunque abbia una vigna fa il suo passito, lo imbottiglia (perche' anche questo "fa figo") in bottiglie da mezzo litro, ma sempre piu' frequentemente da 375 ml e lo fa pagare (o per lo meno ci prova)
uno sproposito. Attendo sconsolato ma certo della sua prossima comparsa lo "Straminucolo surmaturo del Castello di Mezzospirito passito naturale biologico DOCGST" (grado alcoolico 9,8°) in bottigline mignon da 10 cl con spruzzatore aerosol a 50 Euro al pezzo.
Certo, poi ogni tanto capita l'eccezione che ti fa pensare "ma allora c'e' ancora chi fa le cose come piacciono a me". Recentemente mi e' capitato con due passiti rossi, un Aleatico dell'Isola d'Elba e un primitivo di Manduria vinificato passito. Non a caso entrambi abbinavano ad un profumo importante e particolare un grado alcoolico decente che supportava con la sua struttura l'aroma e lo faceva meglio penetrare nel naso. Ma sono quelle cose che incontri e poi non vedi piu', come gli occhi languidi delle passanti di Fabrizio De Andre'. Restano nel ricordo a scaldare il cuore e a farti sperare di riincontrarli, un giorno.
Oggi non mi faccio fottere piu' dalle bottigliette da 375ml a 20 Euro, ne ho provata qualcuna e non mi ha dato soddisfazione. Cosi', oltre al Grecale per le occasioni piu' normali e al Tanit quando ho qualche ospite, mi rivolgo quando posso all'estero, sulle coste mediterranee, dove qualcuno fa ancora vini dolci dalle caratteristiche piu' affini ai miei gusti. Malaga, Madera, Porto (ma questo sfortunatamente non piace a Maddalena).
Ci sarebbe ancora molto da dire, troppo per un pensierino mensile: come al solito mi ripropongo di riprendere l'argomento una delle prossime volte, per parlare del Marsala, dei Porto vintage, dei vini botritizzati (Sauternes) o dei vini del ghiaccio (Eiswein) centroeuropei, o del Pedro Ximenez, succo dolcissimo e complicatissimo con dentro, oltre alla normale uva passa, profumi di fichi secchi, di noci e di piante aromatiche di macchia mediterranea.
Se siete curiosi... stay tuned!
Termino facendo ascoltare, a chi ne avra' voglia, una canzone che parla di baci piu' dolci del vino,
cantata dal trio piu' sdolcinato della musica popolare americana:
Peter, Paul and Mary in Kisses sweeter than wine
FG
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Il 16 Settembre 2013 alle 19:27:26 allora va bene Gabri Ha commentato:
Non ci sono parole,tutto dolcissimo come il vinsanto.
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Il 06 Agosto 2013 alle 19:59:36 FG Ha commentato:
Vincenza, non sai quanto piacere mi abbia fatto trovare il tuo commento su un argomento cosi' "di nicchia". Le cose scritte nel sito linkato vanno sicuramente a riconferma dei miei ricordi (a parte il loro vile fine commerciale :-) ) Mia mamma e' nata nel comune di Citerna, mio papa' ed io stesso in quello di Monterchi, e il Vinsanto, come si deduce dal pensierino, e' uno di quei ricordi che non moriranno mai, almeno finche' saro' vivo io...
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Il 06 Agosto 2013 alle 11:11:54 Vincenza Ha commentato:
Quanti ricordi!!! abitavo in paese, la casa era una fattoria e non aggiungo altro, in risposta ti invio questo vecchio link: Spillatura del Vinsanto a Citerna