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Pensierino di Luglio 2017:

Tra esperienza e conoscenza...

... C'è una bella differenza! (e non è una questione di rime)

Un vecchio proverbio, molto conosciuto, recita "Val più la pratica che la grammatica". Come tutti i proverbi, anche questo coglie una parte della verità (quella che fa più comodo a chi lo cita), ma non va oltre. Non dà una regola certa di vita, ma ne riflette un aspetto. Purtroppo in questo caso il detto ha secondo me conseguenze sociali (ed in questo senso anche politiche), se non devastanti, almeno deleterie ed è perciò tutt'altro che saggio, come i proverbi dovrebbero essere.

Ognuno di noi fa le sue considerazioni in base alla propria esperienza, ed io non rifuggo da questa regola generale. La mia esperienza mi dice che la mia esperienza (nel senso di quello che ho visto, ascoltato, testimoniato e vissuto in prima persona) è solo una piccolissima, trascurabile parte della realtà. Che cosa c'e' in più? Semplicemente l'esperienza degli altri, e siccome gli altri sono svariati miliardi di persone, questo una qualche importanza ce l'avrà. O no?

Adesso divago un po', come mia abitudine, per esplicitare per aneddoti quella che sarà la mia tesi finale, che forse avrete già indovinato, ma io non sono mica uno scrittore di gialli, se si capisce come va a finire, tampì. Chi mi conosce bene salti pure a piè pari il primo raccontino, perchè sicuramente gli avrò già sufficientemente sfranto i maroni dalle tante volte che l'ho raccontato.

La mia mamma era (e per certi versi per fortuna lo è ancora, nonostante non possa ormai più praticare questa sua passione) una fanatica, appassionata, accanita e assidua cercatrice di funghi. Come tutti i cercatori di funghi era anche convinta di sapere tutto ciò che c'è da sapere al riguardo. Peccato che la sua esperienza fosse limitata alla ricerca di funghi in un territorio molto ristretto, ma soprattutto in un ecosistema particolare (la macchia a latifoglie tipica dell'Appennino dell'Italia centrale, nei dintorni del suo paese natale).

Quando, spinti dall'anelito alla sopravvivenza, con mio padre si trasferirono a vivere in Liguria, a Sanremo, la passione per la ricerca dei funghi non venne certo meno. Un giorno andò nei boschi misti sopra San Romolo (chi non è di Sanremo troverà strana questa coincidenza di toponimi, mentre molti Sanremesi non l'hanno mai notata) e raccolse un buon numero di quelli che, per lei, erano ovoli buoni (Amanita caesarea).

Aveva piovuto propamanita muscariario quella notte, ed i cappelli dei funghi erano stati "lavati" dalla pioggia, il fatto che fosse rimasto qualche puntino bianco non aveva spaventato la mamma che non aveva mai visto in vita sua una Amanita muscaria. Anche l'ovolo buono talvolta conserva sul cappello i residui della volva che l'avvolge quando è immaturo. Chiunque abbia anche solo un'infarinatura di cultura micologica avrà capito cos'era successo: la raccolta di funghi di quel giorno conteneva molte Amanita muscaria (fungo fortemente tossico anche se raramente mortale) e nessuna Amanita caesarea (l'ovolo buono, uno dei funghi più pregiati e costosi, ammesso che tu li vada a comprare).

Fortuna volle, per il bene fisico della famiglia Guadagni, che quel giorno la mamma stesse cercando funghi con una persona che non solo aveva esperienza di quei luoghi e di quei boschi, ma aveva anche studiato l'argomento. Il signor Antonio infatti aveva in casa, tra gli altri, uno dei libri più belli che io ricordi dalla mia infanzia: un vecchio tomo illustrato che parlava di funghi, che non conteneva fotografie (allora non c'erano ancora libri fotografici, e sembra una favola ma è così) ed aveva le bellissime tavole a colori singolarmente protette da un velo di carta velina, velo che io sollevavo con timore e rispetto per rivelare l'immagine sottostante.

Il signor Antonio disse quel giorno a mia mamma che quei funghi non erano buoni, e che le consigliava anche di buttar via tutto il contenuto della raccolta, perché qualche lamella o residuo avrebbe potuto contaminare anche i funghi buoni che ne facevano parte. Fortunatamente la mamamanita caesareama si fidò. Non dico che la conoscenza del signor Antonio ci salvò la vita, probabilmente ce la saremmo cavata con un ricovero ospedaliero, una lavanda gastrica e qualche strascico sul fegato, ma sicuramente da quel giorno la mamma fu molto più prudente nella ricerca di funghi, anche senza mettersi a studiare l'argomento.

La mia aneddotica sulla scarsa conoscenza, e sulla diffusa prosopopea di infinita esperienza, nel mondo dei funghi è molto lunga. Va da quando un signore (Pineta di San Rossore, Pisa) mi rovesciò brutalmente a terra il cestino che conteneva una buona raccolta di finferle (Cantharellus lutescens) solo perché lui non le aveva mai viste, a quando quasi in ginocchio pregai un signore incontrato nei boschi piemontesi di non fidarsi della propria esperienza e di recarsi prima di portare i funghi a casa in un centro ASL a farseli controllare. Il cestino conteneva qualche esemplare di Amanita phalloides, questa sì mortale e responsabile della maggior parte dei decessi da ingestione di funghi in Italia, che lui aveva scambiato per colombine verdi (Russula virescens o Russula cyanoxantha).

L'esperienza personale è sempre un bene fondamentale per la crescita culturale di una persona, ma non è mai sufficiente a renderla sicura di padroneggiare un argomento. Posso imparare, con le scarne nozioni scolastiche, a controllare lo scontrino della spesa, ma non sarò un matematico, e se un giorno mi capita un problema più complesso (ad esempio giudicare se statisticamente (e non basandomi sulla mia impressione) il clima stia cambiando oppure no) non sarò autorizzato ad affrontarlo con le mie scarse nozioni. Posso coltivare il giardino, avere il pollice più verde del mondo, essere gratificato dai complimenti degli amici e conoscenti, ma non sarò un botanico, e se qualcuno che se ne intende mi dirà che la pianta che ho posto a dimora potrebbe essere dannosa non dovrò dirgli "non mi è mai capitato". Posso andare a funghi per una vita, ma purtroppo i cambiamenti climatici ed ambientali portano a confrontarsi con specie che non erano mai comparse prima, anche nel territorio che conosciamo a menadito. Se vedo una specie che non so riconoscere con certezza non posso dire "assomiglia a un pevein, sai chebbuono, lo prendo". Non parliamo poi se andiamo a cercare funghi in una regione diversa da quella abituale.

A tutto questo c'è un solo rimedio: la conoscenza. E la conoscenza si matura imparando dall'esperienza degli altri e non dalla propria, in particolare da quella degli studiosi che hanno lavorato proprio per consentire a tutti di andare tranquillamente a cercare funghi senza incorrere in pericoli di nessun genere, ai botanici che hanno messo a confronto piante simili per trovarne le differenze, ai medici che hanno studiato l'anatomia, non guardando il proprio polpaccio o tracheotomizzando il primo che passava per farsi un'esperienza, ma sgobbando per mesi su tomi enormi, cumulo di esperienze e conoscenza di chi prima di lui aveva affrontato l'ingrato compito di sistematizzare ciò che sapeva.

Fateci caacronicta rumicisso, c'è un atteggiamento mentale molto diverso tra chi si fida solo di ciò che vede e fa, e chi invece anela ad una comprensione più ampia, con il piacere di apprendere cose nuove senza arrendersi alla quasi ignoranza della semplice esperienza. Riflettevo su questa cosa qualche giorno fa, quando su Facebook (croce e delizia per chi come me lo usa non solo per mettersi in mostra, ma anche per ampliare la propria conoscenza del mondo sociale) ho notato il post di una "amica", che amica in senso proprio non è (essendo una compagna di scuola delle elementari che, bontà sua, si ricordava di me e mi ha chiesto il contatto). Questa persona, che vive in un posto certamente più gradevole della periferia ciriacese, è immersa nelle fragranze della macchia mediterranea ligure, coltiva ormeasco e olive taggiasche e si bea della vita, per altri versi difficile, in questo posto incantato. Non è una studiosa di lepidotteri, oserei dire che non è neanche una studiosa in generale (ma qui potrei sbagliare non conoscendola abbastanza).

Un giorno ha visto un bruco coloratissimo e particolare, su una foglia del suo giardino. Le è piaciuto, lo ha fotografato, e non ha fatto quello che avrebbe fatto il 95% dei feisbuccari. Non ha pubblicato la foto del bruchetto con la didascalia "guarda checcarinohoho!1!1!!": ha spulciato su Google, ha trovato che quel bruchetto così carino apparteneva ad una certa specie di farfalla (anzi, di falena) e, udite udite, ha pubblicato la foto corredata dal nome scientifico della falena stessa (per i curiosi, si trattava di Acronicta rumicis), felice di averlo scoperto e a rischio di essere sommersa da epiteti di "sapientona", da inviti a pisciare più corto e prese in giro per l'atteggiamento da professoressa. Questa propensione verso l'approfondimento, l'umiltà nell'ammettere di dover imparare, è a mio avviso piuttosto rara. Conosco molte più persone che sanno già tutto, loro, e che semplicemente se ne fottono di saperne qualcosina in più.

Per me è quasi incomprensibile il fatto che al giorno d'oggi, avendo a disposizione strumenti così potenti di diffusione della conoscenza, oggi che scoprire il nome scientifico della farfalla del bruco colorato che hai trovato nel tuo giardino è così facile (non che sia banale... ma pensiamo a come sarebbe stato difficile solo 20 anni fa), proprio oggi si stia diffondendo in maniera così capillare, come un cancro dalle velocissime metastasi, la tendenza all'oscurantismo ed all'anticultura tronfiamente egocentrica e solipsistica... Ma torniamo a noi.

L'esperienza, unita alla mancanza di approfondimento, induce falsi miti, teorie stralampascionempalate, convinzioni tanto fallaci quanto difficili da rimuovere. Vai a dire ad un pugliese che i lampascioni non esistono solo in Puglia: sono molto diffusi in tutta Italia, ma solo loro hanno avuto l'idea (secondo me cattiva, perche' non mi piacciono) di conservarli, mangiarli e trasformarli quasi in un mito culinario. Vagli a dire che esemplari di quella stessa pianticella crescono rigogliosi non solo nella Murgia assolata e assetata, ma anche a 1500 metri di altezza, in Val d'Aosta, a due metri di distanza dalla mia casetta di Lod. Non ci crederanno mai. Così come (e torniamo sul micologico) i calabresi sono convinti che i (non a caso) deliziosi "rositi" (Lactarius del gruppo deliciosus) nascano solo lì, sulla Sila, e siano sconosciuti altrove, come i materani ritengono che i "cardoncelli" (Pleurots eryngii) siano una prelibatezza esclusiva di quei luoghi, quando invece nascono in tutto il sud Italia, e sono una delle poche specie di funghi addirittura coltivabili su larga scala, e perciò oggi venduti anche nei supermercati del nord.

La gente però è straconvinta che "val più la pratica che la grammatica", che l'esperienza sia più importante dello studio, che l'individuo sia più importante dell'insieme degli individui, soprattutto visto che l'individuo è proprio lui. "Ma io il morbillo l'ho avuto, e sono sano e salvo, perchè dovrei vaccinare i miei figli? Che ne so se il vaccino fa bene o male? Con tutto quel che si sente in giro... Io so però per certo (perché l'ho avuto) che il morbillo non fa male, un po' di prurito, due macchioline e passa tutto. E certo, anche perché se ne eri morto (cosa che purtroppo capita) non stavi qui a raccontare quanto sia leggero e banale, il morbillo.

Lo studio... E' faticoso, ti costringe all'umiltà, al dover ammettere che qualcuno ne sa più di te, a combattere con numeri, dati, ad esercitare la memoria, a dover fare connessioni logiche, tutte cose che chi te le fa fare? Hai visto un ponte a una campata crollare? Allora meglio secondo te costruire ponti a più campate. Hai l'amica che ti ggiura che ha bevuto una tisana alla melissa ed è guarita dall'Herpes zoster? Bevi tisana alla melissa e magari ti passa pure l'ernia del disco (sai mai...). E se poi ti passa per davvero, diffondi il verbo e propaganda la tisana alla melissa come toccasana per l'ernia del disco, tanto qualche fesso che ti darà retta lo trovi certamente.

OK sono ricLactarius deliciosusaduto nella polemica che caratterizza da qualche tempo questi miei interventi, e per fortuna la loro diffusione è limitatissima, altrimenti dovrei difendermi da strali molto più numerosi di quelli che già devo sopportare. Prometto con un solenne giurin giuretta e le dita incrociate che prossimamente cambierò registro, anche perché ho in canna un paio di pensierini autobiografici e poco o per nulla polemici.

Per finire in bruttezza voglio fare un'affermazione provocatoria che mi viene dal profondo, e che sfido chiunque a contestare. In un momento in cui si sente ripetere da più parti che i concetti di destra e di sinistra in politica non esistono più, io sono invece convinto che semplicemente siano profondamente mutati dai tempi del "Manifesto" di Marx ed Engels, ma che siano tuttora validi. E che una delle discriminanti che resta valida ancora oggi per giudicare da che parte si sta sia quella dell'importanza e della valorizzazione dell'individuo rispetto alla collettività (o all'umanità).

Tutto ciò che esalta il primo: l'ego, la forza, la prevaricazione, la furbizia, la tendenza alla sottomissione degli altri, il pensare al proprio tornaconto e benessere, il porli davanti a quelli altrui, tutto questo è "di destra". La condivisione, l'empatia, la solidarietà, la considerazione degli altri, il confronto leale, la constatazione che il mondo e le persone al di fuori di noi sono altrettanto importanti (se non di più) della nostra realtà particolare, tutto questo io lo considero appannaggio di una visione "di sinistra". E' chiaro come la semplificazione sia forse eccessiva, e non voglio certo affermare che questa separazione esaurisca le differenze tra i due concetti, che sono più ampie, numerose e variegate. Ma almeno in questo senso consentitemi di dire che, secondo me, l'esperienza è di destra, la conoscenza è di sinistra risata

FG

Post Scriptum.

Per quelli di voi particolarmente curiosi, che non lo sapessero ma volessero sapere se esista un metodo certo di distinguere l'Amanita caesarea da quella muscaria: ebbene sì, esiste. L'ovolo buono ha sempre gambo, anello e lamelle gialle. Inoltre ha una volva bianca avvolgente e tenace. La muscaria ha gambo e lamelle bianche, non ha una volva evidente ma piuttosto un piede bulboso con sfarinature e verruche bianche. Poi, l'esperienza maturata nell'incontro (frequente) con A. muscaria e (sempre troppo raro) con A. caesarea, consentirà di distinguerle anche con una sola occhiata, per caratteri meno certi e su cui non di può mai basare un riconoscimento sicuro (l'Amanita muscaria, tossica, si riconosce anche per il colore generalmente senza sfumature aranciate, puntini bianchi sul cappello quasi sempre presenti e comunque diversi dai residui di volva dell' ovolo buono etc). Oggi, l'esperienza (cioè la consuetudine, il raffronto con il passato) mi fa capire da lontano se mi trovo di fronte a un ovolo buono o no, ma è la la conoscenza che mi dà strumenti di discrimine non ambigui.

E comunque, nel dubbio, non raccogliere! smile

Commenti ricevuti:

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Il 27 Giugno 2017 alle 23:13:14 FG Ha commentato:
So chi sei, anche perche' il tuo commento e' riferito al pensierino di luglio, che non tutti sanno come fare a vedere...
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Il 27 Giugno 2017 alle 13:15:43 Indovinachisono? Ha commentato:
Ecco. E finalmente ti sento dire che esiste la destra e esiste la sinistra! Tra tutte le considerazioni questa č la parte che apprezzo di pių... :-)
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Il 26 Maggio 2017 alle 20:43:36 Valerio Viani Ha commentato:
Valerio was here
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